Filatelia

L’Armistizio di Cherasco

Oggi è il 222° anniversario dell’Armistizio di Cherasco. Stipulato tra Napoleone Bonaparte e Vittorio Amedeo III di Savoia, definitivamente sconfitto nella battaglia di Mondovì, con l’Armistizio e il conseguente Trattato di Parigi la Francia ottenne la Savoia, Nizza, Tenda e Breglio, nonché il libero transito delle truppe in Piemonte per continuare la guerra all’Austria.

Non ci sono francobolli dedicati all’Armistizio di Cherasco. Per ricordare questo importante episodio della Prima Campagna italiana di Napoleone Bonaparte abbiamo scelto un esemplare da 100 franchi della Polinesia Francese che raffigura il giovane generale nei panni del Comandante dell’Armata d’Italia. Si tratta di un particolare del quadro di Jean Sebastien Rouillard che si trova nella Sala dell’Incoronazione della Reggia di Versailles, a Parigi.

L’alba è silenziosa. Napoleone, seguito da alcuni ufficiali, esce dalla casa dove si è insediato lo stato maggiore.
Le strade di Cherasco sono ingombre di vetture e carretti pieni di fieno fresco su cui sono adagiati i feriti. Certi gemono, i monconi sanguinanti. Alcuni soldati sono accasciati sulla nuda terra, la schiena appoggiata contro i muri delle case.
Giunto in fondo a una strada, Napoleone si spinge verso un dosso da dove può dominare il paesaggio. Le colline e gli affluenti del Tanaro e dello Stura sono coperti di una nebbia azzurrognola. In un campo sono allineati dei cadaveri. Uomini curvi li frugano come sciacalli, e quando si rialzano hanno tra le braccia sciabole e sacche piene di munizioni. Ciò che è giunto alla fine, ciò che è morto, non esiste più. Importa solo quel che resta da fare.
Risale rapidamente verso la sede dello stato maggiore. Le parole gli si affollano nella mente. Ci sono stati morti, feriti, disertori, razziatori, vigliacchi, battaglioni sopraffatti dal panico, saccheggiatori che sono stati fucilati. Una realtà sanguinosa e piena di fango.
Si ferma un attimo davanti a un carretto dove tre uomini feriti, addossati uno all’altro, stanno agonizzando. Erano dei vigliacchi, colpiti alla schiena? Ladri sorpresi da un ufficiale e condannati? Oppure eroi? Chi lo sa?
Entra nel suo alloggio.
Comincia a dettare a Berthier il proclama che gli ufficiali dovranno leggere di fronte alle truppe, e che sarà stampato e distribuito a tutti.
Questo proclama diventerà la verità di quei giorni di battaglia. Non ci sarà mai altra verità all’infuori di quella:

Soldati! In quindici giorni avete riportato sei vittorie, avete preso ventuno bandiere, cinquantacinque pezzi d’artiglieria, numerose piazzeforti, avete conquistato la parte più ricca del Piemonte… Privi di tutto, avete affrontato tutto; avete vinto battaglie senza cannoni, attraversato fiumi senza ponti, compiuto marce forzate senza scarpe, bivaccato senza acquavite e spesso senza pane. Le falangi repubblicane, i soldati della libertà erano gli unici in grado di sopportare quello che voi avete sopportato. Ve ne rendiamo grazie, soldati! Eppure, soldati, è come se non aveste fatto nulla, perché molto vi rimane ancora da fare.

Poi si china sul tavolo dove sono sempre dispiegate le mappe. Segue col dito le linee che si disegnano nella sua mente, e che, lui lo sa, è il solo a intuire, a prefigurare. Gli austriaci di Beaulieu sono là, dove finisce il suo dito.
– Domani… – inizia.
Si ferma, con un gesto invita Berthier a prendere appunti per il Direttorio.
– Domani marcerò su Beaulieu, lo obbligherò a guadare di nuovo il Po, subito dopo attraverserò il fiume, occuperò tutta la Lombardia; entro un mese spero di essere sulle montagne del Tirolo, d’incontrare l’Armata del Reno per combattere insieme in Baviera.
Tutto è ancora da fare.

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