Un’azione al portatore di cento scudi romani risalente al 1849 emanata dalla Società Romana delle miniere di ferro e sue lavorazioni con firma autografa del Presidente Giacomo Benucci. Il documento di cui parliamo oggi (formato 20,5×19 cm) è un’acquaforte su carta filigranata raffigurante gli stabilimenti per la lavorazione e i forni per la fusione del ferro, immagini presenti anche nell’impronta a secco apposta nel quadrante superiore destro.
La società nasce con l’obiettivo di estrarre il ferro dalle miniere della Tolfa e di altri luoghi dello Stato Pontificio. I principali stabilimenti si trovano a Tivoli e a Terni. La lavorazione del ferro a livello industriale nello Stato Pontificio si diffonde alla fine del ‘700, anno di a
pertura della Ferriera Pontificia sotto il pontificato di Pio VI. La sua attività è collegata all’estrazione di ferro a Monteleone di Spoleto. L’ammodernamento della Ferriera si deve a Giacomo Benucci che nel 1847 ne diventa definitivamente presidente dopo che la sua Ferriera Benucci si fonde con la Società Romana delle Miniere di Ferro nel 1846.
Come racconta Danilo Stentella (Dalla Ferriera Pontificia alla Zecca di Terni alla SIRI”, Terni 1995) “il Benucci affidò la direzione della Ferriera a Felice Gauthier di Besancon, il quale procedette ad un rapido adeguamento delle strutture della ferriera, che divenne il più grande impianto industriale della città. Il personale impiegato in questa fase assommava a cento unità. Nel 1846 furono installati: 8 fucinali, 4 grandi magli e 2 macchine per la produzione di aria. Si produceva ferro mercantile trafilato, rotaie, bandone e latta. Dal 1847 si iniziò la produzione di prodotti per l’agricoltura e, specialmente, di macchine per la lavorazione delle olive e dell’uva, nonché l’attività della fonderia di bronzo. Vennero poste in azione due grandi ruote idrauliche a cassette, di grande forza motrice. Fu costruito anche un nuovo canale motore che partiva dal Nera, con una portata di sei metri cubi, ristrutturando il corso dell’antico canale Pantano. Ma in quegli anni a Terni non c’era soltanto la ferriera, la cui forza motrice era data dal canale Pantano che azionava quattro ruote a cassettoni, il cui diametro massimo era di m. 7,50 per una larghezza delle casse di m. 3,50. L’industria siderurgica locale era costituita anche da una magona per la fusione e lavorazione del rame e una per il depuramento del ferro. Ludovico Silvestri colloca queste due fabbriche sulla via di Galleto, in una zona ricca di mulini, dei quali ad oggi resta ancora qualche rudere specialmente nelle immediate vicinanze di Papigno”.
Sul certificato allo studio oggi compare anche la firma autografa come segretario di Carlo Armellini, triumviro della Repubblica Romana insieme a Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi.
La Repubblica Romana del 1849 (nota anche con la denominazione di Seconda Repubblica Romana, per non confonderla con quella di epoca napoleonica) è uno Stato repubblicano nato nella Penisola durante il Risorgimento a seguito di una rivolta interna che nei territori dello Stato Pontificio estromette papa Pio IX dai suoi poteri temporali.
La piccola repubblica, nata nel febbraio 1849 a seguito dei grandi moti del 1848, che coinvolgono tutta Europa, ha come questi ultimi vita breve (5 mesi, dal 9 febbraio al 4 luglio) a causa dell’intervento militare della Francia di Luigi Napoleone Bonaparte, il futuro Napoleone III, che per convenienza politica ristabilisce l’ordinamento pontificio, in deroga ad un articolo della costituzione francese. Tuttavia quella della Repubblica romana rimane un’esperienza significativa nella storia dell’unificazione italiana perché vede l’incontro e il confronto di molte figure di primo piano del Risorgimento accorse da tutta la Penisola, fra cui Giuseppe Garibaldi e Goffredo Mameli. In quei pochi mesi Roma passa dalla condizione di Stato tra i più arretrati d’Europa a banco di prova di nuove idee democratiche, ispirate principalmente al mazzinianesimo, fondando la sua vita politica e civile su principi (quali, in primis, il suffragio universale maschile; il suffragio femminile in realtà non era vietato dalla Costituzione, ma le donne ne restarono escluse per consuetudine, l’abolizione della pena di morte e la libertà di culto), che sarebbero diventate realtà in Europa solo un secolo dopo.
Il valore di catalogo del documento di oggi è di circa 400 euro. Interessanti le sue prospettive di rivalutazione.