Filatelia

Il massacro del Washita

Oggi è il 148° anniversario del massacro del Washita.

Il 27 novembre 1868, durante le Guerre indiane, il tenente colonnello dell’esercito statunitense George Armstrong Custer condusse un attacco contro un gruppo di pacifici Cheyenne che vivevano nelle riserve lungo il fiume Washita, uccidendo anche donne e bambini.

Nel 1970 l‘eccidio perpetrato da Custer e dai suoi 500 uomini venne rappresentato nel celebre film di Arthur Penn Il piccolo grande uomo.
Al crudele e sanguinario comandante del 7° cavalleria la Sierra Leone ha dedicato nel 2001 un foglietto, dove il “Figlio della Stella del Mattino”, come veniva chiamato dagli indiani per la sua propensione ad attaccare i villaggi dei nativi americani alle prime luci dell’alba, viene mostrato in una carica ai tempi della guerra di Secessione, durante la quale prese parte a un gran numero di importanti battaglie.

“Per i giovani guerrieri Cheyenne, la morte di Naso Aquilino fu come una grande luce che si spegne nel cielo. Egli aveva creduto e aveva fatto credere loro che se essi avessero combattuto per il loro piacere come stava facendo Nuvola Rossa, presto o tardi avrebbero vinto”.
Dopo la battaglia dell’Isola Beecher, Sheridan diede ordine a Custer di braccare i Cheyenne dovunque li avesse trovati. Morto Naso Aquilino era certo che non avrebbero resistito a lungo. Verso l’autunno del ’68, Caldaia Nera aveva posto le sue tende lungo il fiume Washita ad una cinquantina di chilometri dagli Antelope Hills. Era nel territorio controllato dal generale William B. Hazen, agente dei Kiowa, e si sentiva al sicuro perché Hazen si era sempre dimostrato gentile con lui.

L’eroe biondo del West smascherato da uno dei suoi ufficiali
Caldaia Nera si accorse però che durante la sua ultima visita il modo di fare di Hazen era cambiato. Gli aveva chiesto di tornare a sud nei suoi vecchi territori e gli aveva rifiutato il permesso di accamparsi vicino a Fort Cobb sotto la tutela delle sue compagnie. Caldaia Nera non voleva che succedesse quello che gli era capitato al Sand Creek. Ma la neve era alta, il gelo aveva ghiacciato i fiumi. Caldaia Nera pensò che neppure i soldati sarebbero andati in giro in cerca degli indiani con un simile tempo. Fu il suo errore più grande: la mattina del 27 novembre, come in un incubo, Caldaia Nera avrebbe rivissuto la tragedia che solo pochi anni prima aveva sconvolto la sua vita e quella dei suoi parenti. Simili ad angeli vendicatori, al suono di una musica strana (Gary Owen) le Giacche Blu comandate dall’uomo chiamato Custer si avventarono sul campo di Caldaia Nera, spazzando tutto quanto trovarono sul loro cammino.
Gli ordini impartiti a Custer a dire il vero erano stati: “Procedere a sud in direzione degli Antelope Hills, poi verso il fiume Washita presunta sede invernale delle tribù ostili; distruggere i loro villaggi ed i loro cavalli; uccidere o impiccare tutti i guerrieri, fare prigionieri tutte le donne e i bambini”.
Giunti sul Washita comunque i soldati non fecero distinzioni di sorta. Uccisero 103 Cheyenne dei quali solo dieci erano guerrieri. Il resto, al solito; erano donne, bambini e vecchi. Tra questi anche il mite Caldaia Nera la cui fede negli uomini bianchi era stata ricambiata nel più feroce dei modi.
Custer durante l’attacco perse una decina di uomini. Altri venti (il plotone del maggiore Joel Elliott) praticamente li abbandonò nelle mani dei Cheyenne – senza correre in loro soccorso quando vennero attaccati, per conservare cinquanta squaw che aveva fatto prigioniere e consentire nel contempo ai suoi uomini di abbattere tutti i mille cavalli dei Cheyenne così come era prescritto negli ordini di Sheridan.
Quando fu informato a Camp Supply dell’esito della missione di Custer, Sheridan disse alla stampa, mentendo, che Caldaia Nera era stato ucciso in combattimento perché si era rifiutato di arrendersi.
L’operato dell”’eroe” Custer fu comunque smascherato sulle pagine del Missouri Democratda uno dei suoi ufficiali. Per aver osato tanto, Beenten (questo il suo nome) fu trasferito per ripicca a Fort Dodge, in una lontanissima postazione, nonostante avesse la moglie gravemente ammalata.
“… Quando fui di nuovo sulla soglia i cappotti turchini erano così vicini che sparavano al di sopra della nostra tenda, contro le altre in mezzo al bosco. Uscire di là significava mettersi sotto i loro zoccoli, perciò con il coltello tagliai un pertugio sul dietro e mi ci ficcai dentro. Da ogni parte uscivano indiani, altri si buttavano tra le piante e rispondevano al fuoco, soprattutto con le frecce, ma il bersaglio era difficile, e in mezzo ai bianchi correvano gli indiani. Ora la cavalleria caricava in mezzo alle tende, mentre nella vallata ancora suonava la banda che si era fermata. Quella musica mi faceva impazzire. Mi buttai dietro un albero, pancia a terra. Non avevo ancora sparato ma non per cortesia. No, quei soldati io li avrei stesi a terra senza pietà, se ne avessi avuto il modo; stavano devastando la mia casa, avevano ucciso due delle mie donne, e per colpa loro la mia moglie carissima e il figlioletto neonato correvano rischi gravissimi. In momenti simili non si fa scelta tra se stessi e il nemico, fosse anche tuo fratello per via del sangue o di scelta.

La mazza di legno rinforzata aprila testa al giovane soldato come se fosse un’arancia
“Ma il mio fucile era scarico. Dentro la tenda, lo tenevo così, per paura che andassero a giocarci i ragazzini. Le munizioni erano dentro una borsa sotto il corpo di Orsa che Scava, a una cinquantina di passi da dov’ero steso e in mezzo c’era la cavalleria al galoppo.
“Certi Cheyenne erano andati al fiume, ci erano balzati dentro e si servivano dell’erta riva come di una fortificazione, dietro la quale coprivano la ritirata verso il centro della corrente gelida delle donne e dei bambini. Mi parve di vedere la Donna del grano e il suo piccolo figlio, tra gli altri, ma ora il fumo degli spari era denso, e quando si dissolse un cavalleggero ebbe la bestia colpita e lo ebbi in piena vista. Io fui distratto a guardare quelle bisacce, dove di solito i cavalleggeri tengono la riserva delle munizioni. Corsi da quella parte, ma prima che ci fossi giunto, il cavallo si sollevò sulle zampe e galoppo via scosso. Sbalordito, direi. II soldato invece se la passava peggio. Giaceva con lo stivale sinistro stranamente angolato rispetto alla gamba. Era giovane, poco più che un ragazzo, coi baffetti appena accennati. I nostri occhi s’incontrarono, e io ci vidi dentro una luce, come se fossero due finestre, e dietro qualcuno avesse acceso una torcia, ma la causa di questo era la morte e non la coscienza, perché un istante dopo la sua testa scattò in avanti, mostrando la nuca aperta come un’arancia. E il Cheyenne che aveva fatto questo usando una mazza di legno rafforzata da una lama triangolare di ferro arrugginito, gli prese la carabina e la cartucciera e si precipitò verso il fiume urlando, ma si ebbe il fatto suo mentre tentava di guadagnare la riva, vomitò sangue nel toccare l’acqua e sprofondò sussultando.
“I soldati ormai avevano raggiunto i margini più bassi del villaggio, e il chiasso all’improvviso era semidistante, come di battaglia alla porta accanto. Avevo idea di ritornare alla mia tenda, a prendere le cartucce da sotto il corpo di Orsa che Scava, ma sapevo che i soldati avrebbero fatto un repulisti generale e che muovendomi forse li avrei attirati verso il posto dove era nascosta Luce del Sole, perciò corsi fra gli altri tepee, e fu allora che vidi il corpo atticciato di Caldaia Nera, disteso accanto all’ingresso della sua tenda.

Sheridan aveva detto: “Gli unici indiani buoni che abbiamo visto erano morti”
“Aveva firmato il suo ultimo trattato. Prima Sand Creek, ora questo. Vicino a lui giaceva la moglie morente”.
Questo brano tratto da Il piccolo grande uomo di Thomas Berger (Rizzoli) dà l’esatta dimensione del pathos dell’ultima battaglia di Caldaia Nera.
Dopo il Washita, l’unione che teneva assieme i Cheyenne era per sempre spezzata. Scomparsi Naso Aquilino e Caldaia Nera, gli altri leader Piccolo Abito e Toro Alto cominciarono a litigare. Piccolo Abito era stanco di combattimenti e aveva deciso di andare ad abitare nel territorio assegnato ai Kiowa. Toro Alto, con una banda di Soldati Cane, decise invece di andare al Nord per raggiungere gli Olglala di Nuvola Rossa. Era la primavera del’69 e Toro Alto che si sentiva l’erede di Naso Aquilino fece passare brutti momenti ai bianchi che vivevano sul Powder, prendendo anche alcune prigioniere bianche. Fu in luglio nei pressi di Summit Springs che le guide Pawnee del generale Carr che Sheridan aveva mandato alla caccia di Toro Alto, scovarono il campo dei Cheyenne. Carr si rivelò migliore stratega di tutti i suoi predecessori perché prese d’infilata il campo da due direzioni precludendo ogni via di scampo ai Cheyenne.
Toro Alto con una ventina di guerrieri riuscì a resistere per qualche tempo in un anfratto ma infine cadde crivellato dai colpi.
Ormai i Cheyenne del Sud non esistevano pratica­ mente più. Sterminati i loro bisonti, massacrati i loro cavalli, uccisi tutti i capi. Sheridan poteva essere soddisfatto. Lui che un giorno aveva detto: “Gli unici indiani buoni che abbia mai visto erano morti”, era riuscito finalmente a pacificare tutta la regione tra il Colorado e l’Arkansas. Gli indiani che vivevano in quelle terre, come lui auspicava, erano diventati finalmente “buoni”.

Alberto PUPPO
Founder of: SCRIPOMUSEUM.COM Historical digital Museum for collector of stock and bond, MUSEUM ON THE HISTORY OF FINANCE"SCRIPOMUSEUM.COM".
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