Filatelia

L’attentato di Sarajevo

Oggi è il 104° anniversario dell’attentato di Sarajevo.

Il 28 giugno 1914, nella capitale della Bosnia-Erzegovina, vennero uccisi l’arciduca Francesco Ferdinando, erede presuntivo al trono austro-ungarico, e sua moglie Sofia, per mano dello studente serbo Gavrilo Princip. L’attentato fu preso dalla fazione bellicista in seno al governo asburgico come pretesto per scatenare una guerra “preventiva” antiserba. La crisi diplomatica che seguì condusse allo scoppio della prima guerra mondiale.
Per ricordare lo sparo che riecheggiò in tutta Europa abbiamo scelto il bel foglietto emesso dalle poste austriache lo scorso anno in occasione del centenario. L’esemplare si compone di due francobolli da 0,62 € e da 0,70 € che raffigurano rispettivamente l’arciduca Francesco Ferdinando e l’arciduchessa Sofia, mentre in secondo piano si svolge la scena dell’attentato.

28 giugno 1914: alle 10 del mattino l’auto, una Graf Stift quattro cilindri scoperta con a bordo l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, percorre il ponte Cumurja tra due ali di folla. L’erede al trono d’Austria-Ungheria è a Sarajevo per rafforzare i legami con la Bosnia-Erzegovina, annessa di recente da Vienna. Una bomba si leva dalla folla, il detonatore salta ferendo Sofia di striscio, l’ordigno esplode sotto un’auto di scorta. L’attentatore è arrestato, Francesco Ferdinando illeso. E se dopo il fallito attentato l’arciduca decidesse di tornare a Vienna? Uno spunto perfetto per una storia di fantapolitica. E invece Francesco Ferdinando si avvia incontro al destino in perfetto stile austriaco: il Municipio, la visita ai feriti dell’attentato, un nuovo, lento corteo fino all’Appelkai; e poi i colpi di pistola di Gavrilo Princip che spezzano la vita dell’arciduca e della moglie.
L’Austria-Ungheria del vecchio Francesco Giuseppe si lascia trascinare dalla Germania del giovane Guglielmo II nel braccio di ferro. L’ultimatum alla Serbia, dalle condizioni inaccettabili, è respinto. Vienna sceglie la guerra. Fra il 28 luglio e il 12 agosto il meccanismo delle alleanze trascina Berlino, Mosca, Londra e Parigi.
Durante il conflitto, e soprattutto dopo la sconfitta degli Imperi centrali, i vincitori faranno di tutto per addossare alla sola Germania, con il suo militarismo e la sua inarrestabile Weltpolitik, la responsabilità di aver scatenato la guerra. Ma ancora oggi (superato il concetto di uno Stato “aggressore”) è difficile comprendere quale miscela esplosiva i colpi di Princip abbiano innescato. La rivalità navale tra Germania e Inghilterra, il revanscismo francese, il contrasto austro-russo nei Balcani, la spartizione dell’eredità ottomana, le paure di Berlino per il riarmo russo, le questioni coloniali sono tutti fattori di crisi. E fra 1908 e 1914 l’annessione della Bosnia-Erzegovina, il fallimento delle trattative anglo-tedesche, la seconda crisi marocchina e le guerre balcaniche pongono le premesse del conflitto.
Eppure nessuno di questi elementi è così grave da non poter essere composto, come tante volte è accaduto nell’Ottocento, un secolo dominato dalla paura di ripetere l’interminabile esperienza delle guerre rivoluzionarie e napoleoniche. La verità è piuttosto che l’Europa del Novecento non ha più paura della guerra. Tutti sono anzi pronti a gettarsi nella contesa, troppo a lungo rimandata, per l’egemonia continentale. E tutti credono che la guerra sarà breve. E che sarà l’ultima. Sbagliano in entrambi i casi.

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