Oggi parliamo dei vecchi Bot. Il certificato di debito pubblico dello stato italiano di cui parliamo nella nostra rubrica è datato 1 luglio 1956 ed è stato emesso per il valore nominale di lire 20mila con rendita annua al 5% ed interesse di lire mille annue (il suo valore di mercato collezionistico si aggira sui cinquanta euro). È con la proclamazione del Regno d’Italia che si fa risalire l’origine del debito pubblico nazionale.
Con la Legge n.94 del 10 luglio 1861, l’allora ministro delle Finanze, Conte Pietro Bastogi, istituisce il Gran libro del debito pubblico del Regno d’Italia, nel quale vengono iscritti ed unificati tutti i debiti contratti dagli Stati preunitari. Il riconoscimento da parte del ‘nuovo Stato’ dei debiti dei ‘cessati Stati’ porta il primo ‘debito pubblico unificato’ ad una quota pari a circa tre milioni di Lire.
Questa legge, voluta dal conte Pietro Bastogi, costituisce così il primo tentativo di unificare le finanze del neonato Stato italiano.
Il Gran libro del debito pubblico, nello specifico, è costituito da un insieme di registri nei quali l’amministrazione del debito pubblico prevede l’iscrizione dei prestiti redimibili e irredimibili dello Stato. L’iscrizione in questo registro stabilisce in modo formale e definitivo che i bilanci dello Stato contengano tra le spese ordinarie le somme corrispondenti agli interessi e ai premi inerenti al prestito.
Per le iscrizioni nominative il Gran libro del debito pubblico contiene le intestazioni esatte e le successive modificazioni o trasferimenti ad altri titolari. Anche l’iscrizione o la cancellazione di vincoli debbono esservi registrate. Per le iscrizioni al portatore fanno fede le matrici da cui i titoli sono stati staccati al momento dell’emissione.
Seguendo l’andamento del debito pubblico italiano possiamo vedere come scenda nel dopoguerra e si stabilizzi attorno al 30% per tutti gli anni cinquanta e sessanta. Dagli anni settanta in poi inizia una rapida ascesa che prosegue fino ai giorni nostri. Nel 1956, anno in cui è stato emesso il documento di cui ci occupiamo oggi, siamo all’inizio del cosiddetto “miracolo economico” italiano che si protrae fino al 1963. Sono anni in cui si assiste a una crescita del reddito molto elevata con investimenti produttivi elevati, stabilità monetaria, equilibrio della bilancia dei pagamenti.
Questo permette una rapida industrializzazione senza inflazione e senza disavanzi nei conti con l’estero. Il maggiore impulso a questa espansione viene proprio da quei settori che avevano raggiunto un livello di sviluppo tecnologico e una diversificazione produttiva tali da consentir loro di reggere l’ingresso dell’Italia nel Mercato comune.
Il settore industriale, nel solo triennio 1957-1960, registra un incremento medio della produzione del 31,4%. Assai rilevante è l’aumento produttivo nei settori in cui prevalevano i grandi gruppi: autovetture 89%; meccanica di precisione 83%; fibre tessili artificiali 66,8%. Ma, va osservato che il «miracolo economico» non avrebbe avuto luogo senza il basso costo del lavoro.
Gli alti livelli di disoccupazione negli anni cinquanta sono infatti la condizione perché la domanda di lavoro eccedesse abbondantemente l’offerta, con le prevedibili conseguenze in termini di andamento dei salari. Nel 1956 presidente del Consiglio è il democristiano Antonio Segni che rimane in carica dal 6 luglio 1955 al 19 maggio 1957 per un totale di 683 giorni. Presidente della Repubblica è Giovanni Gronchi.
Ma il 1956 è un anno fondamentale per la storia mondiale. Due eventi lo contraddistinguono in particolar modo: l’invasione sovietica dell’Ungheria e la crisi di Suez. L’esito delle due crisi dimostra la bipolarizzazione del sistema internazionale intorno a Usa e Urss e il nuovo corso delle loro relazioni. La decisione del nuovo premier egiziano nazionalista Nasser di nazionalizzare il canale di Suez danneggia fortemente gli interessi anglo-francesi, eredità del loro dominio coloniale nell’area.
Tuttavia, il loro intervento militare, di cui approfitta Israele per attaccare l’Egitto, venne fermato e vanificato dalla dura reazione dell’Unione Sovietica, che si eresse a paladina dell’Egitto acquistando prestigio e influenza in tutto il mondo arabo, e degli stessi Usa, che non ammettono deroghe alla loro leadership mondiale sul blocco occidentale. Quando poi i carri armati sovietici stritolano nei loro cingoli la rivolta ungherese, gli Stati Uniti non intervengono, nonostante i disperati appelli del nuovo governo presieduto da Nagy, riconoscendo di fatto l’indiscussa egemonia sovietica nell’Europa orientale.
Quindi il 1956 può essere definito cruciale sia per gli equilibri mondiali, sia per l’Italia, sempre più avviata sulla strada dello sviluppo nonostante le sue perduranti contraddizioni interne e le sue profonde sacche di povertà.