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CARLO FELICE 80 LIRE DEL 1828 DELLA ZECCA DI TORINO

Carlo_feliceCARLO FELICE (1821-1831) 80 Lire oro 1828 – zecca di Torino – D/Testa nuda a s – data – D/ Stemma coronato con valore e segno di zecca – bordo con scritto in incuso FERT – grammo 25,80 – titolo 900 millesimi, diametro 33 mm.

 

Le caratteristiche della moneta sono:

Coniata tra il 1823 e il 1831, fu l’ultima moneta del regno con facciale da 80 lire. Ritrae al recto il profilo del sovrano a testa nuda e al verso lo stemma completo di casa Savoia cinto e fregiato dal Collare dell’Annunziata entro due rami di quercia. Con certificato fotografico.

Metallo: oro 900 – Peso: gr. 25,8 – Diametro: mm. 33
Zecca: Torino e Genova

Carlo Felice di Savoia (Torino, 6 aprile 1765 – Torino, 27 aprile 1831) fu re di Sardegna dal 1821 alla morte.

Era il quinto figlio maschio di Vittorio Amedeo III di Savoia e Maria Antonietta di Spagna. Ebbe come nonni materni Filippo V di Spagna ed Elisabetta Farnese.

Non avendo mai aspirato al trono e non amando particolarmente i torinesi che, ai suoi occhi, si erano macchiati di tradimento verso la dinastia appoggiando prima Napoleone e poi i moti costituzionali, Carlo Felice non fu molto presente come re né partecipò alla vita sociale della capitale.

In effetti, risiedeva a Torino solo quando era aperta la stagione teatrale ed il resto del tempo lo trascorreva in continui soggiorni in Savoia, nel nizzardo, a Genova, una delle sue residenze favorite, e nei castelli di Govone e Agliè, che aveva ricevuto in eredità dalla sorella Maria Anna.

A causa di ciò, il re preferiva delegare ampi compiti ai suoi ministri, in particolar modo al conte Roget de Cholex, ministro degli interni, riservandosi un compito di supervisione; quanto al suo governo, questo è il giudizio che diede Massimo d’Azeglio:

« Un dispotismo pieno di rette ed oneste intenzioni ma del quale erano rappresentanti ed arbitri quattro vecchi ciambellani, quattro vecchie dame d’onore con un formicaio di frati, preti, monache, gesuiti »
(Massimo d’Azeglio, citato in Montanelli, L’Italia Giacobina e Carbonara, p. 344.)
Ciononostante, il re non fu del tutto insensibile alle esigenze di riforme e certamente si distinse nella difesa dello stato piemontese dalle ingerenze pontificie o straniere.

Infatti, limitò i privilegi e le esenzioni della Chiesa che apparivano lesivi dell’autorità dello Stato: abolì (quasi completamente) il diritto d’asilo nei luoghi sacri, ammise la citazione degli ecclesiastici come testimoni davanti ai tribunali laici ed impose il visto civile per catechismi, pastorali, libri sacri.

Quanto al problema dei beni ecclesiastici secolarizzati nel 1792 (con il consenso del Papa) e poi dai Francesi (con iniziativa unilaterale), il re affidò il compito ad una consulta straordinaria composta da funzionari ed esponenti del clero. Le proposte, recate nel dicembre 1827 a Papa Leone XII dall’ambasciatore straordinario Filiberto Avogadro di Collobiano, furono esaminate da una congregazione di cardinali che, però, respinse alcuni aspetti finanziari ed il principio della disponibilità da parte dello stato dei beni. Pertanto, il 1º aprile del 1828, il re convocò un nuovo congresso al quale raccomandò flessibilità sulle questioni finanziarie e rigidità sulle proposte di principio; l’accordo raggiunto venne approvato il 14 maggio 1828 dalla Santa Sede.

Importante fu, inoltre, l’attività di riforma legislativa che ebbe le sue origini con l’Editto del 16 luglio 1822 per il riordino delle ipoteche, del 27 agosto 1822, che unificò il diritto penale militare, e del 27 settembre 1822 per la riforma del sistema giudiziario e che si concluse con le Leggi civili e criminali pel Regno di Sardegna, 16 gennaio 1827, che sostituivano le normative per il regno di Sardegna ormai datate alla Carta de Logu.

« Carlo Felice, come ogni uomo della Restaurazione, che comprende a un tempo sia i reazionari sia gli innovatori, ha maturato molteplici esperienze e appare oscillante tra l’aperto richiamo al dispotismo settecentesco, il cui sbocco era lo stato napoleonico, e suggestioni storicistiche, peraltro, in Italia, scarsamente fortunate… Da un lato si è in presenza di un tipico sforzo di aggiornamento dell’assolutismo dinastico, dall’altro, si attua una recezione sostanziale della normativa francese, seppure con eccezioni e modificazioni” »
(E. Genta, Eclettismo giuridico della Restaurazione, pp.357-362.)
Infatti, se Vittorio Emanuele aveva attuato una rigida controrivoluzione abrogando acriticamente tutte le disposizioni compiute dai francesi dopo la abdicazione di Carlo Emanuele IV, lo stato, tuttavia, non poteva rimanere sordo alle voci della maggioranza dei suoi sudditi i quali chiedevano leggi conformi alla ragione ed alle esigenze dei tempi. Si poneva, quindi, la necessità di una qualche riforma che colmasse le lacune.

Così il 27 settembre 1822 Carlo Felice, dopo aver ristabilito la pubblicità delle ipoteche e codificato il diritto penale militare, promulgò l’Editto sulla riforma dell’ordinamento giudiziario civile che, però, escluse la Sardegna.

L’editto aboliva gran parte delle giurisdizioni speciali (come quella per i delitti di gioco d’azzardo o quella portuale), istituiva 40 tribunali collegiali di prefettura (da cui dipendevano 416 giudicature di mandamento), competenti in primo grado, divisi in quattro classi, secondo la importanza dei luoghi ed affidando a speciali membri di questi tribunali l’istruzione dei processi; veniva mantenuta la giurisdizione penale e civile del Senato di Torino e quella fiscale della Corte dei Conti.

Inoltre, si adotta il doppio grado di giurisdizione eliminando la pluralità degli appelli e fu istituita la figura dell’avvocato fiscale con funzioni di pubblico ministero.

Infine, rese gratuito il diritto di azione, almeno tendenzialmente: sostituiva all’antico sistema delle sportule, tasse giudiziarie assai gravose, computate al valore della causa, che costituivano la retribuzione dei magistrati, con un regolare sistema di stipendi a carico del bilancio dello Stato..

Altra importante innovazione fu il Corpo delle leggi civili e criminali del Regno di Sardegna promulgato il 16 gennaio 1827 e che è dovuto principalmente all’azione del conte de Cholex; preparato a Torino dal Consiglio supremo di Sardegna, il progetto fu poi esaminato da una apposita commissione sarda e poi dalla Reale Udienza di Sardegna e fu il risultato di una selezione delle fonti insulari e delle continentali, tanto nazionali quanto straniere..

Gli aspetti più nuovi riguardavano il campo del diritto penale con l’abolizione del “guidatico” (impunità a delinquenti che avessero catturati altri delinquenti) e delle “esemplarità” (atroci esacerbazioni della pena capitale, come lo squartamento dei cadaveri e la dispersione delle ceneri), con le restrizioni nella comminazione della pena di morte, con l’affermazione del concetto di proporzionalità della pena al reato e la distinzione tra reato tentato e reato commesso.

Infine, fu abolita la tratta degli schiavi e fu stabilito che qualunque persona si fosse trovata in cattività su una nave battente bandiera sarda, ottenesse la libertà.

Iniziative economiche

Pur afflitto da difficoltà economico-finanziarie e caratterizzato da un rigido protezionismo, il regno di Carlo Felice non fu privo di iniziative nel campo dei servizi e delle opere pubbliche.

Infatti, fu potenziata la rete delle infrastrutture grazie alla costruzione della strada tra Cagliari e Sassari, oggi Strada statale 131 Carlo Felice e della Genova-Nizza oltre che ai ponti sul Bormida e sul Ticino (quest’ultimo completato nel 1828).

Importanti furono gli interventi edilizi cittadini: il porto di Nizza fu ampiamente restaurato, Genova ottenne il teatro, intitolato a Carlo Felice, mentre Torino poté vantare un imponente progetto di sistemazione urbanistica di cui è esempio il ponte sulla Dora, piazza Carlo Felice, canali sotterranei, i portici di piazza Castello e diversi sobborghi.

Inoltre, Carlo Felice non trascurò il settore siderurgico di cui si era già occupato in qualità di viceré e neppure quello creditizio e assicurativo il cui sviluppo fu assicurato con la creazione nel 1827 della Cassa di Risparmio di Torino e con la costituzione nel giugno del 1829 della Società Reale Mutua d’assicurazioni.

Infine, non mancarono interventi nel settore agricolo e manifatturiero che furono incoraggiati con la concessione di diverse esenzioni e benefici fiscali e con la creazione di mostre espositive come quella del 1829 che vide la partecipazione di 500 espositori.

Politica estera

In politica estera, Carlo Felice, benché prendesse in considerazione l’ipotesi di ingrandimenti territoriali, di fatto, non coltivò alcuna mira espansionistica e preferì dedicarsi agli interessi economici e commerciali dei suoi stati.

Infatti, nel 1821, mediatrici l’Austria e l’Inghilterra, stipulò con la Sublime porta un vantaggioso trattato di commercio.

Nel settembre 1825, per indurre il baldanzoso bey di Tripoli all’osservanza del trattato firmato nel 1816 sotto gli auspici dell’Inghilterra, ed al rispetto della bandiera sarda lungo le coste dell’Africa settentrionale, non rifuggì neppure da una dimostrazione di forza. Verso la fine del mese due fregate, “Commercio” e “Cristina”, una corvetta, “Tritone”, e un brigantino, “Nereide”, al comando del capitano di vascello Francesco Sivori, comparvero davanti a Tripoli. Fallito un estremo tentativo di pressione sul bey, nella notte del 27 settembre 10 scialuppe sarde penetrarono nel porto e, incendiati un brick e due golette tripoline e sbaragliate o massacrate le truppe accorse in aiuto, costrinsero il nemico a venire a più miti consigli.

Nel 1828 terminò la costruzione di un ponte sul fiume Ticino all’altezza di Boffalora, opera iniziata dal fratello Vittorio Emanuele I qualche anno prima sulla base di un trattato con l’imperatore d’Austria, reggente sull’altra sponda del fiume nel Regno Lombardo-Veneto.

 

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